CIE e il mito degli allenamenti random. Cosa dice la scienza
di Paolo Gattimolo

Introduzione

Spesso accade che qualche teoria si affermi a un certo punto in un certo contesto culturale e rimanga fortemente radicata quand’anche non risulti di grande utilità. Anche se l’esperienza di campo sembra contraddire la teoria in più situazioni, si continua a ritenerla valida. Il classico caso di “se i fatti non concordano con la teoria, tanto peggio per i fatti”.

Così è accaduto nel modo della pallavolo e dello sport in genere per il mito degli allenamenti random. Per chi ancora non sia stato contagiato (per sua fortuna) da questa epidemia, la descrivo in breve:

Più cose insieme si allenano (random practice) meglio è per l’apprendimento. Insegnare conducendo il discente a fare lo stesso gesto più volte (blocked practice) porta a un apparente miglioramento momentaneo ma in realtà porta a minori effetti di apprendimento nel lungo periodo.

Quindi in riferimento all’organizzazione delle sedute di apprendimento/allenamento (molte volte il concetto viene indebitamente allargato anche ad altri aspetti, ma questa è la formulazione diffusa nella letteratura scientifica) i vari compiti proposti A, B, C, possono essere presentati con diversa variabilità. Quando ai discenti è richiesto di svolgere per un certo numero di volte un singolo compito prima di passare al successivo (AAABBBCCC…) si parla di “blocked practice”, quando invece viene richiesto di svolgere i compiti in un ordine casuale (ABCCBAACA…) si sta parlando di “random practice”.

Il fenomeno per cui “random” produce risultati migliori nei test di ritenzione (misurazione della performance dopo un certo tempo dalla somministrazione delle sedute allenanti) e di transfer (capacità di generalizzare l’apprendimento non solo per lo specifico compito ma anche per compiti simili) rispetto a “blocked” (che invece produce migliori risultati durante il processo di acquisizione) è chiamato Contestual Interference Effect (CIE).

La ricerca chiave

Vale la pena ricordare la ricerca cardine sul CIE, che è quella di Shea e Morgan del 19791. L’esperimento svolto dai 2 scienziati si era servito della strumentazione che appare nell’immagine qui sotto.

L’esperimento consisteva nel prendere la pallina da tennis a un segnale, con la pallina in mano buttare giù quelle barriere disposte a destra e sinistra (tipo pezzi del domino per intenderci) in una determinata sequenza indicata in un diagramma di fronte a loro nel minor tempo possibile, per poi riappoggiare la pallina nel secondo buco. Ogni determinata sequenza costituiva un compito (A, B, o C) che veniva richiesto in diverso ordine. Lo studio della velocità e precisione dei compiti nel tempo hanno portato alle conclusioni di cui sopra.

Ecco, secondo me, se sui libri o dispense varie di apprendimento motorio si trovasse la descrizione di questo esperimento, invece che la semplice citazione, credo che il sospetto che le conclusioni potessero non essere totalmente affidabili sarebbe venuto a più di qualcuno di voi. Siamo sicuri che la capacità di eseguire il compito di buttare giù dei pezzi di domino abbia una grande relazione con l’abilità di Michael Jordan di fare quello che fa?

Spiegazioni del CIE

Gli scienziati hanno fornito diverse spiegazioni al fenomeno del CIE. Cioè hanno cercato di spiegare quali erano le motivazioni per il quale gli allenamenti random creavano questo effetto che migliorava l’apprendimento motorio. Sono state formulate pricipalmente 3 ipotesi:

  1. L’ipotesi dell’elaborazione.
    Questa teoria ha a che fare con la presenza nella memoria di lavoro di uno o più stimoli. Quando le esercitazioni vengono proposte in modalità random più compiti (task) saranno presenti contemporaneamente nella memoria di lavoro, rendendo così possibili dei processamenti delle relazioni tra loro. Ci saranno dei processi di elaborazione non solo intra-task, che sono gli unici possibili nelle esercitazioni blocked, ma anche dei compiti inter-task.
  2. L’ipotesi della ricostruzione del piano d’azione.
    L’idea è che gli allenameenti random richiedano un maggior sforzo per l’elaborazione del piano d’azione, perché tra una ripetizione e l’altra dello stssso compito la stessa viene dimenticata svolgendo gli altri compiti. Così per ogni tentativo c’è bisogno di ricostruire completamente il piano d’azione dove invece per la pratica blocked il piano è sempre attivo nella memoria di lavoro. Questa maggiore attività di processamento porterebbe ai vantaggi nell’apprendimento della modalità random rispetto alla blocked.
  3. L’ipotesi dell’inibizione retroattiva
    Mentre le altre ipotesi si basavano sui vantaggi relativi della pratica random rispetto alla blocked, questa ipotesi si basa al contrario su uno svantaggio della pratica blocked rispetto alla random. L’idea è che le esercitazioni blocked possano avere un maggiore effetto di inibizione retroattiva rispetto alle esercitazioni random. Cioè in caso di esercitazioni nello schema AAA, BBB e CCC l’apprendimento dei compiti A e B viene influenzato negativamente dai blocchi successivi, rispettivamente B e C.

Laboratorio contro campo: cosa influenza la CIE

Benché la scienza troppo lontana dai campi di gioco a volte possa creare siffatte problematiche è logico pensare che poi riesca a mettere delle pezze. Nel corso degli anni molti esperimenti in laboratorio hanno replicato i risultati di Shea e Morgan, fino a quando l’apparizione di esperimenti sul campo (grazie anche alle nuove tecnologie a disposizione, sia a livello di videocamere ma soprattutto a livello informatico) ha cominciato a rilevare una netta discrepanza tra i risultati in laboratorio e questi ultimi. In laboratorio il CIE continuava ad apparire in forte correlazione con le esercitazioni random, mentre sul campo questa differenza non si misurava, anzi talvolta si misurava il contrario.

Alla fine molti scienziati hanno convenuto che il CIE non compare sempre, ma che esso è influenzato dall’interazione delle capacità del soggetto con le caratteristiche del compito. La comparsa di CIE in allenamenti random piuttosto che in allenamenti blocked si è vista essere in relazione con:

  1. Semplicità del compito
    Compiti semplici, cioè che prevedano la coordinazione di poche articolazioni (per esempio schiacciare un pulsante, buttare giù pezzi di domino) presentano alto CIE, compiti complessi, che viceversa comportano la coordinazione di più articolazioni (una qualsiasi azione di un gioco sportivo come basket o pallavolo) raramente presentano CIE
  2. Quantità e durata del compito
    Compiti che durano più tempo o che sono comunque costituiti da un grande ammontare di azioni motorie hanno minor impatto sul CIE
  3. Livello di esperienza del soggetto nel compito
    Soggetti più esperti in un dato compito beneficiano di alto CIE, viceversa per i soggetti non esperti
  4. Stile di apprendimento
    Soggetti impulsivi presentano maggiore CIE rispetto a soggetti riflessivi
  5. Ansia e autoefficacia
    Soggetti ansiosi e con basso livello di sensazione di autoefficacia presentano basso CIE

Conclusioni

Nell’insieme sembra che la complessità del compito sia determinante per la comparsa del CIE. Sia in senso assoluto, sia in senso relativo. Cioè il CIE è assente quando il compito è troppo complesso in assoluto per richiesta di attenzione, di memoria, o di domanda motoria o quando tali richieste sono troppo elevate rispetto all’esperienza del soggetto o anche solo alla sua percezione della difficoltà del compito. Sembra infatti che in questi ultimi casi l’allenamento random sovraccarichi il sistema del discente e rimuova tutti i potenziali benefici.

Ecco che quindi è necessaria una certa prudenza nell’affermare che il metodo random sia la cura di tutti i problemi dell’apprendimento motorio, sembra proprio che la scienza non sostenga questo, dopo una più attenta analisi. Nè è corretto pensare che in assoluto la variazione nell’allenamento non sia importante. Il concetto di variabilità dell’allenamento richiede ulteriori approfondimenti.

Paolo Gattimolo
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